cito:
Il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (c. d. Decreto Sviluppo), è intervenuto al fine di coordinare la disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione con le norme del codice civile, in materia di capitale sociale.
Per chi come me opera costantemente nelle operazioni di ristrutturazioni il problema della integrità del capitale sociale è da sempre un problema rilevante .
Raramente ,quando intraprendo un operazione di risanamento aziendale, i bilanci delle società sono veri e correttamente relaizzati con una corretta applicazione dei principi contabili specie con riferimento al principio contabile relativo alla continuità aziendale.
Accade spesso che professionisti poco sensibili alle responsabilità ,anche penali ,dei propri clienti , (clienti che sono di solito amministratori di società di capitali o membri del consiglio di amministrazione delle stesse ), nel tentativo di mantenere l' integrità del capitale sociale abbiano spesso volntariamente fatto ricorso a quella che molti definiscono contabilita' creativa.
Queste situazioni ( a cui io personalemte rimendio senza indugio con tecniche che permettono di disinnescare i reati fallimentare ) nella prassi applicativa degli istituti hanno determinato intralcio al processo di risanamento delle società in crisi, afflitte (ovviamente) da deteriorate situazioni patrimoniali.
Il Decreto Sviluppo ha infatti introdotto il nuovo articolo 186-sexies che recita come segue :
I. Dalla data del deposito della domanda per l'ammissione al concordato preventivo, anche a norma dell'articolo 161, sesto comma, della domanda per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182 bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all'omologazione non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della socieà' per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545-duodecies del codice civile..
II. Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l'applicazione dell'articolo 2486 del codice civile.
La modifica si applica dall’11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della nuova normativa ai sensi dell' art. 33, comma 3, d.l. 83/2012). Pertanto, al pari delle altre disposizioni del Decreto Sviluppo, la nuova disciplina è applicabile solo ai procedimenti di concordato preventivo e per l’omologazione di accordi di ristrutturazione ex articolo 182-bisdella Legge Fallimentare introdotti (anche ai sensi del sesto comma di tale norma, solo come proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori) a partire dalla suddetta data (di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Sviluppo). La disciplina previgente continuerà invece a regolare i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione presentati precedentemente.
In sostanza operazioni realizzate prima della data del 11 settembre 2012 non godono della agevolazioni previste dal soptrtacitato articolo .
La nuova norma va ad incidere su un’area di intersezione tra la disciplina societaria e quella fallimentare, fino ad oggi alquanto incerta e inesplorata.
Per coglierne appieno il valore innovativo occorrerà ricordare gli obblighi, anteriormente all’entrata in vigore del Decreto Sviluppo.
Nel fallimento la società fallita non è tenuta a ridurre il capitale per perdite, neanche nei casi previsti dall’art. 2447 c.c.
Si è a lungo discusso se l’adempimento delle prescrizioni in materia di riduzione ed eventuale reintegrazione del capitale sociale fosse elemento decisivo per l’ammissione della società al concordato preventivo. Quanto all’applicabilità delle disposizioni di cui agli art. 2446, 2447 e 2448, n. 4 (testo storico) cod. civ., in pendenza di procedura, l’orientamento prevalente in dottrina era nel senso di ritenere che l’ammissione al concordato preventivo ne sospendesse l’applicabilità.
Di fatto nella prassi veniva escluso l’obbligo di provvedere alla riduzione-reitegrazione del capitale sociale (pena lo scioglimento della società). La ragione di tale interpretazione sospensiva era data dalla cosiderazione che la procedura di concordato avrebbe inciso positivamente alla riduzione delle perdite , che , per effetto delle sopravvenienze attive realizzate all' omologa sraebbero state destinate ad essere falcidiate, con conseguente modificazione (in senso migliorativo) della situazione patrimoniale della società.
E tuttavia i caso di rilevare come la presunzione di cui sopra ,spesso, all' atto pratico , non era poi concretamente e in dettaglio provata nei numeri nella maggior parte dei piani in continuità che ho avuto modo di analizzare perche pubblicati sui vari siti dei tribunali d' italia .
In siostanza ne testo della domanada di ammissione e nel piano spesso la dimostrazione della ricostruzione del capitale e stata lasciata al caso..
Tornando a noi , si puo affermare che , la prassi aveva già da tempo ampimante anticipato la nuova formulazione del articolo 186 - sexisties
Si riteneva quindi che, nel corso del concordato preventivo, la società avesse solo la facoltà (e non l’obbligo) di provvedere alle operazioni sul capitale sociale, anche nei casi previsti dagli art. 2446 e 2447 cod. civ. Tale esenzione si sarebbe protratta per tutta la durata della procedura, fino cioè all’omologazione del concordato
In conclusione, per la disciplina previgente, la società in concordato preventivo non avrebbe avuto l’obbligo di procedere alle operazioni sul capitale, previste dagli art. 2446 e 2447 cod. civ., pur conservando la facoltà di procedere alla copertura delle perdite.
La nuova disciplina prevede la sterilizzazione degli obblighi di capitalizzazionesi in sostanza si è definitivamente recepito, sul piano del diritto positivo, l’orientamento secondo il quale gli obblighi di ricostituzione del capitale sociale, integralmente o parzialmente perso, sono sospesi nel periodo intercorrente tra il deposito delle istanze di ammissione alla procedura concordataria e quello della sua omologazione.
Si produce, inoltre, sotto questo profilo, un’equiparazione al concordato delle procedure finalizzate all’omologazione di accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis della Legge Fallimentare (anche nella forma preliminare della proposta e delle trattative con i creditori), procedure che producono quindi, fino all’omologazione, gli stessi effetti del concordato preventivo.
Il termine finale di tale sospensione è da ravvisare nel passaggio in giudicato del provvedimento di omologazione.
Occorre a questo punto considerare più attentamente l’effetto sospensivo della novella. In vero, l’art. 182 sexies non sospende l’intero apparato normativo in materia di obblighi di capitalizzazione, ma opera selettivamente, sospendendo solo l’applicazione degli art. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile (oltre alle cause di scioglimento di cui agli art. 2484, n. 4, e 2545-duodecies del codice civile).
La sterilizzazione dei soli commi secondo e terzo dell’art. 2446, che impongono (in sintesi) la riduzione del capitale in proporzione delle perdite accertate se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, mantiene in vigore, nel periodo considerato, l’obbligo di cui al primo comma, che impone agli amministratori di convocare senza indugio l'assemblea per gli opportuni provvedimenti ove il capitale risulti perduto per oltre un terzo. Quest’obbligo (con i relativi doveri di informativa), che poteva – nell’interpretazione data alla disciplina previgente – considerarsi anch’esso sospeso in corso di procedura concordataria, è invece espressamente sottratto alla sterilizzazione. Il che fa ritenere che la sua cogenza sia stata volutamente riaffermata dal legislatore, il quale lo ha intenzionalmente sottratto alla deroga.
E anche in questo caso bisogna fare particolare attenzione .
Ipotizziamo, ad esempio che una società prima di accedere al concordato si ricapitalizzi con una fusione per incorporazione incorporando due partecipate . Ipotizziamo che successivamente sia previsto dal piano industriale un proseguo di un trend di perdite per 2 o 3 anni prima della totale stabilizzazione del concoto economico
Forse dopo 2 anni di perdite si sarà perso piu di un terzo del capitale sociale ed ecco la domanda.... Il nuovo piano deve prevedere espressamente la ricapitalizzazione ?
Il dubbio è legittimo visto che l’intenzionalità è confermata dal fatto che anche per la disciplina della società a responsabilità limitata continuano ad applicarsi gli altri commi dell’art. 2482-bis (commi primo, secondo e terzo), che impongono un analogo dovere di convocazione e di informativa all’assemblea, quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite.
Questa sterilizzazione selettiva ha molteplici implicazioni, anche sul piano sistematico.
Innanzi tutto, la norma impone, in caso di perdite rilevanti, di fornirne sempre informativa all’assemblea. Anche nel regime riformato del concordato preventivo (nel quale l’assemblea non è più titolare della competenza deliberativa in materia), dunque, l’obbligo di informazione è cogente, qualora le perdite (come è del tutto ovvio) abbiano inciso in misura rilevante sul capitale. E quell’obbligo deve essere assolto anche in costanza di procedura (ed è questo il contenuto essenziale del precetto), qualora gli amministratori non abbiano già provveduto prima della presentazione dell’istanza. Cio significa gestire tutta la comunicazione sociale come si sarebbe fatto normalmente anche se la societa non fosse in concordato .
La riaffermazione dell’obbligo di informativa all’assemblea deve essere estesa anche all’ipotesi prevista dall’art. 2447, per ovvie esigenze di coerenza del sistema. Se sul piano letterale quella norma appare integralmente sospesa, la sospensione non può intendersi in senso assoluto: non avrebbe senso, infatti, imporre la convocazione dell’assemblea per i casi di minore gravità, previsti dall’art. 2446, ed escluderla per quelli di maggior rilevanza dell’art. 2447. La ragionevole interpretazione logico-sistematica della disposizione è nel senso che, ferma la sterilizzazione dell’obbligo di convocare senza indugio l'assemblea per assumere delibere attinenti alla riduzione del capitale ed al contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al minimo, o alla trasformazione della società, resta quello generale dell’art. 2446 (obbligo di convocazione per l’informativa qualificata, in esso contenuta), anche qualora per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduca al disotto del minimo stabilito dall'articolo 2327 cod. civ. (e ragionamento analogo vale anche per la speculare ipotesi in materia di società a responsabilità limitata, con riferimento al minimo di capitale previsto dal numero 4) dell'articolo 2463).
Può quindi concludersi, sotto questo profilo, che nel corso delle procedure indicate dalla norma, pur essendo tenuti gli amministratori di società per azioni e a responsabilità limitata a convocare (qualora non l’abbiano già fatto) le rispettive assemblee per informarle della perdita (quale che essa sia, purché superiore al terzo), tuttavia su di essi non incombe l’obbligo di procedere alle operazioni di riduzione o ricapitalizzazione, previste nelle citate disposizioni.
Logica conseguenza di tale sterilizzazione è quella prevista dall’ultimo periodo del primo comma dell’art. 182-sexies l. fall..
Secondo la sopra citata disposizione per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui all’art. 2484, n. 4. Pertanto, le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, in pendenza delle menzionate procedure, non si sciolgono per la riduzione del capitale al disotto del minimo legale, nel caso in cui siano stati omessi i provvedimenti salvifici di cui agli art. 2447 e 2482-ter cod. civ. (la norma sospende inoltre la causa di scioglimento di cui all’art. 2545-duodecies cod. civ. del codice civile, in materia di società cooperativa, impedendo in tal modo lo scioglimento per la perdita del capitale sociale).
La sterilizzazione della causa di scioglimento, di cui all’art. 2484, n. 4, pone non pochi problemi, in regione dell’intrinseca difficoltà di individuare il momento e le modalità di operatività dello scioglimento e dell’insorgere, quindi, della responsabilità degli amministratori. Non è possibile in questa la sede richiamare, neppure per cenni, la vasta tematica inerente all’art. 2484 (e, ante riforma, all’art. 2448), n. 4, cod. civ., né affrontare il complesso problema, insorto in relazione alle norme riformate, della duplice articolazione della responsabilità degli amministratori, che potrebbe insorgere al verificarsi della causa di scioglimento: quella di cui all’art. 2485, primo comma, per omessa attuazione degli obblighi pubblicitari e quella di cui all’art. 2486, per omessa conservazione del patrimonio sociale.
Sarà qui sufficiente osservare che nel sistema riformato, gli effetti dello scioglimento nei confronti dei terzi si determinano dalla data dell’attuazione della pubblicità, a norma dell’art. 2484, terzo comma, cod. civ. Pertanto, può ritenersi che con l’art. 184-sexies, primo comma, il legislatore abbia inteso innanzi tutto preservare gli amministratori dalla responsabilità che insorge ex art. 2485, primo comma, cod. civ., per il ritardo o l’omissione dell’accertamento della perdita rilevante e della pubblicizzazione della relativa causa di scioglimento.
Potranno pertanto verificarsi due distinte ipotesi:
a) che anteriormente all’apertura della procedura, si sia già verificata la perdita del capitale oltre il minimo legale e gli amministratori, in assenza dei provvedimenti salvifici dell’art. 2447, non l’abbiano accertata “senza indugio” (come prescrive l’art. 2485, primo comma); in questo caso, la responsabilità personale e solidale causata dal ritardo o dall’omissione si sarà già verificata e detta responsabilità si perpetuerà nei confronti della società, dei soci, dei creditori sociali e dei terzi, per i danni subiti, anche successivamente alla presentazione dell’istanza di concordato o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione; in questo caso, cioè, la sospensione della causa di scioglimento non vale a sanare una situazione di irregolarità che si sia già verificata anteriormente;
b) che l’istanza di accesso a quelle procedure sia presentata entro un lasso temporale breve dall’emersione della situazione di perdita rilevante ex art. 2484, primo comma, n. 4 (prima cioè che si determini l’obbligo di convocare l’assemblea per i provvedimenti di cui all’art. 2447 o, quanto meno, prima che, per l’omissione di tali provvedimenti, si determini l’obbligo di pubblicare l’accertamento dell’intervenuto scioglimento ex art. 2484, terzo comma); la tempestività dell’istanza, quindi preclude l’insorgere della responsabilità degli amministratori, a causa della sospensione ex legedello scioglimento.
Da quanto sopra detto, quindi, può desumersi che la norma qui considerata non operi una sanatoria per ritardi od omissioni già maturate, ma voglia in realtà incentivare gli amministratori delle società, che versino in condizioni patrimoniali critiche (nelle quali, cioè, le perdite incidano addirittura sul capitale minimo) ad avviare prontamente le procedure concorsuali finalizzate alla risoluzione della crisi, onde non incorrere nel rischio di essere ritenuti responsabili per omissione di convocazione dell'assemblea dei soci e, soprattutto, per la mancata attuazione della pubblicità inerente allo scioglimento.
In sostanza un invito a fare pulizia nei conti aziendali , a liberarsi dal fardello di bilanci artefatti che nascoindevano l' insolvenza
Se, al momento dell’omologazione del concordato o degli accordi, per effetto della falcidia concordataria o delle misure di risanamento la situazione patrimoniale della società dovesse essere migliorata, in modo tale da rendere superflui i provvedimenti di ricapitalizzazione, la società potrà proseguire la sua attività senza che gli amministratori subiscano ripercussioni per l’omissione dei provvedimenti imposti dalla normativa. Se invece ciò non dovesse verificarsi, dal momento della cessazione delle procedure riprenderanno a decorrere i termini ordinari per l’attuazione di quelle misure o per lo scioglimento della società.
Il secondo comma dell’art. 182-sexies l. fall. potrebbe apparire disposizione inutile, se non addirittura contraddittoria rispetto al primo comma. Dire che, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, “resta ferma l'applicazione dell'articolo 2486 del codice civile” può infatti sembrare in contrasto con la sterilizzazione, attuata dal primo comma, che impedirebbe proprio il “verificarsi di una causa di scioglimento”, che è presupposto di applicabilità dell’art. 2486. Che senso avrebbe, infatti, da un lato impedire che quella causa di scioglimento si verifichi in corso di procedura e, dall’altro, stabilire che prima dell’apertura di quella procedura si applica una norma che ha come presupposto il verificarsi, appunto, di quella causa di scioglimento?
Per tentare di dare un senso alla norma bisogna tener conto della intricata problematica teorica e della prassi applicativa formatesi con riguardo alle disposizioni in materia di scioglimento per perdita del capitale oltre il minimo legale nonché dell’elasticità dei tempi di accertamento, di tale causa (predisposizione di una situazione patrimoniale, convocazione “senza indugio” dell’assemblea per i provvedimenti di cui all’art. 2447 cod. civ., constatazione della mancanza di tali provvedimenti o della loro inutilità ecc.). Incerto è lo stato della società in quel lasso di tempo: secondo talune impostazioni, lo scioglimento si verificherebbe solo per la mancata attuazione dei provvedimenti salvifici; per altre invece si sarebbe già verificato (quanto meno, nei rapporti interni), per il semplice fatto della perdita del capitale, oltre il minimo legale, indipendentemente dall’accertamento di quel fatto ad opera degli amministratori e dalla pubblicità ai sensi del terzo comma dell’art. 2484 cod. civ. In questo caso, i provvedimenti salvifici dell’art. 2447 avrebbero solo effetto ablativo dello scioglimento.
Può, per tali incertezze interpretative, comprendersi come il legislatore (avallando, forse inconsapevolmente, la seconda lettura della norma, a mio avviso preferibile) abbia voluto, da un canto, sancire la sospensione degli obblighi connessi a quell’evento, sul piano assembleare e pubblicitario (primo comma) ma, al contempo, sottolineare – sia pur con una forzatura del rigore normativo - l’obbligo degli amministratori di agire, dal momento dell’emersione delle perdite a quello dell’apertura della procedura di crisi (periodo in cui la società sarebbe già virtualmente sciolta) “ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale”, sotto comminatoria della responsabilità personale e solidale per i danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del primo comma dell’art. 2486.
Questa interpretazione della norma mostra in ogni caso la preoccupazione del legislatore di contenere gli effetti “deresponsabilizzanti” che la disciplina del primo comma potrebbe produrre per gli amministratori. Se le procedure avviate non dovessero produrre i divisati effetti risolutivi della crisi, con ogni probabilità seguirebbe la procedura fallimentare. Ed eventuali comportamenti dissipatori degli amministratori (antecedenti all’istanza) non potrebbero intendersi “sanati” dalla temporanea sterilizzazione della causa di scioglimento, ma sarebbero comunque perseguibili mediante l’azione di responsabilità del curatore.
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