sabato 17 novembre 2012

Bibliografia sui concordati

cito:


Il decreto-legge 2 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134[1], ha apportato nuove modifiche alla legge fallimentare, le quali riguardano in particolare il concordato preventivo. 
La disciplina di tale istituto ne esce n sicuramente arricchita e perfezionata, all’insegna – come si è subito notato[2] – di un ancor più marcato favor legislativo per le soluzioni concordate delle crisi d’impresa .
In sostanza si prende sempre più il largo da una visione che vedeva centrale il ruolo del giudice e del tribunale e  che vede sempre più rilevante e  centrale la figura dell' attestatore  quale vero e propio garante della  bontà dei numeri del piano, della  striutturazione logica del piano e  della connessa proposta .

Le nuove  disposizioni  si  applicano  ai «procedimenti di concordato preventivo introdotti  dal  trentesimo  giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge  di  conversione» del decreto-legge (art. 33, comma 3, del medesimo d.l.), entrata in vigore avvenuta il 12 agosto 2012, in sintesi ai concordati  che sono stati presentati a partire dal 11 settembre 2013...
Le  nuove disposizioni contengono  anche significative novità, pur nella continuità di impostazione della complessiva disciplina dell’istituto.
Sul piano strutturale la più rilevante innovazione è rappresentata dalla possibilità di presentare una domanda di “concordato senza piano” (o “pre-concordato”). Tuttavia, nel provvedimento sono presenti  anche ultriori  disposizioni relative a tale nuova figura si ricavano utili indicazioni di carattere generale sulla regolamentazione della domanda.

2. La «domanda», la «proposta» e il «piano» di concordato preventivo.

Le modifiche in esame consentono innanzitutto alcune precisazioni terminologiche e concettuali.
La «domanda di concordato» (così la rubrica dell’art. 161 e i commi quinto e sesto dello stesso articolo, nonché l’art. 169 l. fall.) è «proposta con ricorso» rivolto «al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale» (primo comma).
La  domanda di concordato dunque, è una domanda giudiziale, con la quale si chiede al giudice un provvedimento giurisdizionale.
Non dobbbiamo mai perdire di vista questo aspetto.. chi legge la  domandaè , direi  se mi e consentito , senza nessuna offesa , un giudice .
Può sembrare banale  ma occorre tenere presente che  , a mie spese , sin da quando ero giovane ho imparato a comprendere che i  giudici non leggono  molto ,e amano cercare di capire facendo pochi sforzi .
Un consiglio spassionato e  quello , che di solito i legali non acoltano perchè hanno il "loro stile " e quello di comporre la domanda di concordato  cin due parti  la prima di massimo 4 facciate in cui c'e la sintesi di tutto come  una spese di presentazione , la seconda parte  adaguatamente dettagliata e completa ..
La domanda di concordato essendo  un atto di iniziativa processuale, con il quale si instaura un procedimento davanti a un giudice,  e' volto all’emanazione del provvedimento chiesto.
Il «ricorso» è una delle forme tipiche con cui può proporsi una domanda giudiziale (art. 125 c.p.c.), l’involucro del quale la domanda è rivestita per essere indirizzata al giudice: in tal caso la norma è tassativa nel prescrivere l’utilizzo di tale forma. 
Le nuove disposizioni del comma secondo, lett. e), e del comma sesto dell’art. 161 l. fall. chiariscono che è solo la «domanda di concordato» il contenuto necessario e indefettibile del ricorso, mentre non devono necessariamente trovare collocazione in esso né la «proposta» né il «piano» di concordato.
Bene  allora serve capire bene cosa  e' la domanda  di concordato, e che cosa e il piano e la  proposta..
Se  non si capiscono i concetti si rischia di fare un bel caos 
Iniziamo con il dire che il «piano» di concordato deve normalmente essere presentato unitamente al ricorso (comma secondo, lett. e, ove è elencato fra i documenti che «il debitore deve presentare con il ricorso»).
Il piano non fa parte del contenuto essenziale, proprio del ricorso, pur non potendosi escludere che, anziché essere formulato in un separato documento, possa essere riversato nel corpo stesso del ricorso[3].

Il nuovo comma sesto dà facoltà all’imprenditore, che propone la «domanda di concordato», di riservarsi di presentare in un secondo momento sia il «piano» sia la «proposta» di concordato.
Sia il piano che la  proposta perciò ora possono essere presentati (non congiuntamente, bensì) anche successivamente al ricorso, nel termine assegnato dal tribunale[4] (termine «compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni»).

Dunque, nemmeno la «proposta» fa parte del contenuto necessario del ricorso.
Il «piano» e la «proposta», se non sono presentati congiuntamente al ricorso, e quindi alla «domanda di concordato», ovvero se non sono inseriti anch’essi nel ricorso (com’è pure possibile), debbono comunque sopravvenire in un certo tempo dalla presentazione del ricorso; altrimenti, «si applica l'articolo 162, commi secondo e terzo», cioè il tribunale «dichiara inammissibile la proposta di concordato» (ed eventualmente dichiara il fallimento): il che vuol dire che pone fine al procedimento.
E qui veniamo ad un altro problema , l' incopetenza dei  commissari che non sanno leggere i piani e che per evitare responsabilta e lavori che non sanno svolgere  cercano di far fallire l' azienda  avanzando dubbi  e ogni sorat di 

Da ciò ricaviamo che:
 a) «domanda di concordato», da un lato, e «piano» e «proposta», dall’altro, sono entità distinte;
 b)  eppure sono tutte  interdipendenti, poiché la «domanda di concordato» non può sopravvivere (se non per un determinato lasso di tempo: al massimo di 180 giorni), senza «piano» né «proposta», i quali, a loro volta, presuppongono necessariamente una «domanda di concordato», cui debbono agganciarsi.

La «domanda di concordato», la «proposta» e il «piano», coi requisiti per essi prescritti dalla legge, sono tutti «presupposti per l’ammissione alla procedura», come chiaramente si evince dagli artt. 162 e 163 l. fall. (ovvero «condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato», come, con terminologia equipollente, dice l’art. 173, terzo comma, l. fall.), in mancanza dei quali il procedimento nasce (o diviene, nel caso di “preconcordato”) invalido e deve cessare con un provvedimento (in forma di decreto) dichiarativo della «inammissibilità della proposta»[5] (art. 162 l. fall.).
Occorre, dunque, chiarire in cosa consistano la «domanda di concordato», da un lato, il «piano» e la «proposta», dall’altro.

2.1. La «domanda di concordato».

La «domanda di concordato» è – dice l’art. 161, primo comma, l. fall. – «la domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo», dunque è la domanda con cui si chiede al tribunale di emettere il provvedimento di apertura della procedura, più precisamente il provvedimento (sempre in forma di «decreto»), con cui si «dichiara aperta la procedura di concordato preventivo» (art. 163, primo comma, l. fall.).
Ma questa procedura non è fine a sé stessa, poiché essa non contiene in sé (come invece la procedura fallimentare) gli strumenti per risolvere la crisi (o l’insolvenza) dell’impresa: essa mira, a sua volta, a rendere possibile l’emanazione di un ulteriore provvedimento, il provvedimento (anch’esso sempre in forma di «decreto») con cui il tribunale «omologa il concordato» (art. 180 l. fall.), con il quale, cioè, si determina e si rende vincolante per tutti i creditori, nonché per il debitore, una nuova regolamentazione di tutti i rapporti obbligatori che fanno capo allo stesso debitore (il «concordato omologato», appunto), tale da portare a soluzione la crisi (o l’insolvenza).
E’ proprio grazie  al provvedimento giudiziale che la impone autoritativamente (anche ai non consenzienti), che la crisi (o l’insolvenza) può essere superata, con il porre concretamente in essere comportamenti conformi alle nuove regole dei rapporti obbligatori.

Ciò è quanto, in sostanza, stabiliscono gli artt. 184 e 185 l. fall., con il dire il primo che «il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori» («anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all'articolo 161»: ossia i creditori concorsuali), ed il secondo che «dopo l'omologazione del concordato, il commissario giudiziale ne sorveglia l'adempimento», da parte, evidentemente, del debitore e/o dei soggetti obbligati con lui o in luogo di lui ad adempiere quanto previsto nel  «concordato omologato».
Orbene, poiché la normativa non prescrive che sia presentata una domanda ad hoc per l’emanazione del provvedimento omologatorio, cui è indirizzata l’intera procedura di concordato, sembra evidente, allora, che la «domanda di concordato» non si esaurisce nella «domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo», ma contiene (deve contenere) anche in sé (sempre, esplicitamente o implicitamente) la richiesta di omologazione del concordato (in presenza di tutte le condizioni di legge).

Come bene si è scritto, la «domanda di concordato» è «la domanda con la quale il debitore chiede che la crisi (o l’insolvenza) sia regolata secondo la disciplina del concorso (in luogo della disciplina civilistica dell’esecuzione forzata) e segnatamente del concorso concordatario».
In tal senso la domanda di concordato dunque, essa è «prima di tutto espressione della richiesta dell’imprenditore di non applicare il regime del fallimento» (se egli è in «stato di insolvenza») ovvero il regime «dell’esecuzione forzata» individuale (se egli è in «stato di crisi», che non sia insolvenza: art. 160, terzo comma, l. fall.).
Ragion per cui «oggetto del processo di omologazione del concordato è il potere del debitore di ottenere di regolare la crisi con lo strumento dell’autonomia negoziale»[6].
Meglio sarebbe dire che  il debitore  intende regolamentare le proprie posizioni debitorie con lo strumento della regolamentazione concordataria dei rapporti obbligatori (il «concordato omologato»), il cui contenuto (come più avanti si dirà) è espressione di autonomia negoziale privata.

2.2. La «proposta» e il «piano» di concordato.

Passando ora alla  «proposta» e al «piano», che debbono necessariamente accompagnare o sopravvenire alla «domanda di concordato», va subito rilevato che le norme vigenti non solo non danno una definizione di questi due concetti, ma nemmeno forniscono elementi univoci perché essi possano essere dall’interprete distintamente e chiaramente definiti.
Invero, dalla lettura delle norme emerge che non vi è una netta demarcazione di confini fra  «proposta» e «piano».
  
L’art. 160, primo comma, l. fall. esordisce dicendo che l’imprenditore «può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano»: e qui già si vede che «proposta» e «piano» nella mente del legislatore sono elementi entrambi indispensabili e strettamente interconnessi.
Se il concordato preventivo – com’è risaputo – presuppone lo «stato di crisi» (comprensivo dello «stato di insolvenza»: art. 160, terzo comma, l. fall.) dell’imprenditore, ossia la incapacità (attuale o prossima, reversibile o irreversibile) dell’imprenditore di adempiere le sue obbligazioni (perché l’obbligazione è sempre quel vinculum iuris quo necessitate adstringimur ad dandum aliquid vel faciendum vel praestandum[7]).
Il concordato preventivo è , dunque , lo strumento per eccellenza  per rimediare a tale «stato di crisi», evitando il ricorso agli strumenti apprestati dall’ordinamento per reagire a simile situazione (principalmente, l’esecuzione forzata individuale e il fallimento).
Attraverso il concordato si può realizzare una nuova e diversa  modalità soddisfattiva delle obbligazioni che fanno capo all’imprenditore.
   
Fare una «proposta» di concordato, significa offrire ai creditori di porre in essere un comportamento satisfattivo (o una pluralità di comportamenti satisfattivi), diverso da quello cui il debitore è tenuto, dunque prefigurare una nuova regolamentazione dei rapporti obbligatori e, al tempo stesso, manifestare la volontà di, ossia dichiarare di impegnarsi a, dare attuazione a tale nuova regolamentazione (sempre chè essa mediante il provvedimento omologatorio divenga il «concordato omologato»).
La «proposta» di concordato è, quindi, l’offerta impegnativa di un diverso adempimento/soddisfacimento delle obbligazioni, secondo una nuova regolamentazione di esse,  determinata nei suoi contenuti. Come tale essa ha natura negoziale.
Ma poiché il soddisfacimento alternativo che si offre ai creditori può richiedere (perché si realizzi) una pluralità di operazioni (in senso lato, giuridico e/o fattuale), ecco che emerge il concetto di «piano», come programma dettagliato e complesso riferito a singole  operazioni, eventualmente sequenziali e comunque connesse o correlate  e tra loro coordinate al fine di pervenire al risultato voluto, ossia indirizzate a procurare ai creditori il soddisfacimento offerto con la «proposta» di concordato.
Per l’art. 160, primo comma, l. fall. la «proposta» deve poggiare «sulla base di un piano», ossia deve essere articolata e dettagliata in un «piano»: non basta dire quale risultato safisfattivo si vuole perseguire, ma occorre anche dimostrare tecnivamente attraverso al reliazzaione dettagliata  di un business plan  come, attraverso quale percorso e quindi attraverso quali operazioni, il risultato  del risanamento sra ottenuto e in che misura questo risanamento che porterà alla  soddisfazione dei creditori dovrà essere realizzato.
La «proposta» pertanto ,contentiene le modificazioni strutturali delle obbligazioni, modificazioni che sostanziano il diverso soddisfacimento offerto ai creditori, dunque la variazione di uno o più degli elementi costitutivi dei rapporti obbligatori (soggetto tenuto ad adempiere, prestazione, cioè comportamento cui l’obbligato è tenuto, oggetto della prestazione, tempo dell’adempimento), atteso che il soddisfacimento (ossia la realizzazione dell’interesse del creditore, ragione per la quale l’obbligazione è sorta) è, appunto, la risultante della concretizzazione nella realtà effettuale di tutti gli elementi costitutivi del rapporto obbligatorio.
Il «piano», invece, dovrebbe avere per contenuto l’insieme dei comportamenti strumentali attraverso il risanamento o la liquidazione all’adempimento delle obbligazioni nella loro nuova strutturazione, ivi compresi gli elementi accessori di esse (in quanto tali propriamente esterni alla loro struttura: le garanzie).
Insomma, la «proposta» dovrebbe indicare l’obiettivo, il risultato satisfattivo da perseguire, il «piano» dovrebbe dettagliare gli strumenti per la realizzazione di quell’obiettivo/risultato.
Ma proprio perché la legge prescrive ed esige la formulazione e la presentazione di un «piano» quale «base» della «proposta», ciò vuol dire che la «proposta» è qualificata dal «piano» e il «piano» è finalizzato alla «proposta».

Se ne desume che «proposta» e «piano» non solo sono (come già rilevato) strettamente interconnessi: l’una non può stare senza l’altro e viceversa; ma anche e soprattutto che insieme, congiuntamente, «proposta» e «piano» costituiscono il contenuto della nuova regolamentazione dei rapporti obbligatori, che, una volta approvato (a maggioranza) dai creditori, diventa, in virtù del provvedimento omologatorio, il «concordato omologato», ossia la nuova lex specialis delle obbligazioni concorsuali che fanno capo al debitore.
Si deve dire, allora, secondo la dottrina prevalente, che «proposta» e «piano» sono entrambi oggetto di «deliberazione» da parte di creditori[8], e, in quanto recepiti nel provvedimento di omologazione e così trasfusi nel «concordato omologato», sono entrambi impegnativi, e per il debitore e per i creditori concorsuali.
L’ 160, primo comma, l. fall., descrive il possibile contenuto del «piano» e dice che il «piano può prevedere»:
«a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
b) l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore […];
c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse».
Il nuovo art. 161, secondo comma, lett. e), l. fall. (introdotto dal “decreto crescita”), aggiunge che il «piano» (che deve accompagnare il ricorso) deve contenere «la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta»[9].
Nel commentare tale disposizione bene si è scritto che essa sta a significare che «il debitore è tenuto a descrivere i modi attraverso i quali ritiene di poter soddisfare i suoi creditori», nonché «a indicare in modo analitico le tempistiche con le quali egli conta di adempiere la proposta formulata ai creditori»[10].
Tradotto  in termini pratici significa che ci  deve un bel prospetto dei flussi del concordato , molto analitico e  di sicura  funzionalita al piano stesso.
Occorrerà , a mio giudizio anche   descrivere  analiticamente la tempistica dei pagamenti e possibili ranges  temporali per il pagamento qualora dovessero insorgere delle difficoltà oggettive.
Dalle lettura congiunta delle citate norme si evince che il «piano» di concordato può avere «a tutt’oggi il contenuto più svariato»[11], ma le indicazioni da ultimo prescritte, circa modalità e tempi, vengono a integrare il «contenuto minimo»[12], come tale necessario, del piano medesimo.
Ecco allora che  si pone adesso, finalmente , un limite alla  possibilità di dar  seguito ai concordati alla “ speriamo che  me la cavo “  che spesso sono stati realizzati  da professionisti , spesso legali,  che  avendo scarsa dimestichezza con  numeri e le proiezioni finanziarie hanno talvolta composto dei concordati confidando solo sulle  competenze della azienda e qualche volta  di qualche attestatore  troppo accomodante.
Ma si evince, altresì, che la legge assegna a contenuto del «piano» l’enunciazione di tutto ciò che si offre ai creditori, degli strumenti (operazioni giuridiche e/o fattuali) che si intendono adoperare per soddisfare i creditori, delle modalità e dei tempi di attuazione del soddisfacimento offerto; sicché non si vede cosa resti che possa essere individuato come contenuto proprio della  «proposta», distinto da quello del «piano».
Si può concludere che, in sostanza, per la legge «piano» e «proposta» sono un tutt’uno, un’endiadi indissolubile.
In questa prospettiva, bene si è scritto che la nuova disposizione chiarisce e «sancisce il rapporto di continenza» fra «piano» e «proposta»[13]: l’uno contiene in sé l’altra.
E qui secondo me   di innesta una problematica molto  rilevante ovvero le competenze dell’ estensore del piano prima e  dell’ attestore poi attestatore su cui ritorneremo in seguito in post successivo .




[1] D’ora in avanti: “decreto crescita”, cui ci si riferirà nel testo risultante dalla legge di conversione.
[2] S. Ambrosini, Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012.
[3] In senso conf., S. Ambrosini, op. cit.
[4] La norma dice che il termine è «fissato dal giudice», e ci si è chiesti chi sia tale «giudice». Non sembra dubbio che esso vada identificato nel tribunale (ossia nel collegio), cui è rivolta la domanda proposta «con ricorso» (art. 161, primo comma, l. fall.), non certo nel «giudice delegato», atteso che nella fase di ammissione il «giudice delegato» non c’è ancora. Esso, infatti, viene nominato dal tribunale col decreto di apertura della procedura ex art. 163 l. fall., con cui, appunto, «il tribunale: 1) delega un giudice alla procedura di concordato».  Conferma testuale è nel comma ottavo dello stesso art. 161, il quale prevede che «con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo» (con il quale si fissa il termine), «il tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato».
Il procedimento di ammissione al concordato è un procedimento in camera di consiglio (art. 737 c.p.c.), come tale a trattazione e decisione collegiale (art. 50-bis, secondo comma, c.p.c.), in cui vi è un «giudice relatore», nominato dal presidente (art. 738, primo comma, c.p.c.), al quale (per principio generale, ormai comunemente riconosciuto) il collegio può  delegare l’attività istruttoria (talvolta, con specifici limiti: cfr. art. 26, decimo comma, l. fall., a tenor del quale «all’udienza il collegio, sentite le parti, assume, anche d'ufficio, nel rispetto del contraddittorio, tutti i mezzi di prova che ritiene necessari, eventualmente delegando un suo componente»).
Cfr. Cass.-s.u. 19-6-1996, n. 5629 (Foro it., 1996, I, 3070; Giur. it., 1996, I, 1, 1300; Giust. civ., 1996, I, 2203), la quale ha affermato l’esistenza nel processo camerale di un «principio generale, secondo cui un giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell'organo collegiale». In senso conf.: Cass. 16-7-2005, n. 15100 (Foro it., 2006, I, 476). 
[5] Può sembrare strano che si debba dichiarare «inammissibile la proposta di concordato» anche quando una proposta manchi del tutto, per non essere stata presentata nel termine assegnato ai sensi dell’art. 161, sesto comma, l. fall. (cioè appunto in caso di  “concordato senza piano” o “pre-concordato”). Ma si tratta solo di una formula (imposta dalla legge) omnicomprensiva delle varie ipotesi in cui il procedimento (aperto con il ricorso contenente la «domanda di concordato») viene fatto cessare per mancanza di taluno dei «presupposti per l’ammissione alla procedura».
[6] M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 174.
[7] Institutiones Iustiniani, 3.13.
[8] Infatti, il capo IV è intitolato «della deliberazione del concordato preventivo»; gli art. 177 e 179 l. fall. parlano di «approvazione del concordato» (non della proposta).
[9] Val la pena osservare che i «tempi di adempimento» sarebbero a rigore elementi propri della «proposta» (il termine di adempimento è elemento strutturale dell’obbligazione: art. 1183 c.c.); le «modalità di adempimento» sarebbero , invece, elementi propri del «piano», ove si volesse assumere una rigorosa distinzione concettuale fra «proposta» e «piano».
[10] S. Ambrosini, op. cit.
[11] S. Ambrosini, op. cit.
[12] S. Ambrosini, op. cit.
[13] S. Ambrosini, op. cit.

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