Quando un intestatario di fattura ovvero presunto debitore riceve un ingiunzione di pagamento, ovvero un titolo esecutivo, oppure un precetto ovvero un ordine di esecuzione forzata, deve avere ben presente i casi previsti dalla legge per far valere le sue legittime ragiomi di opposizione, in seguito riassunti.
I gravi motivi richiesti per sospendere l'efficacia esecutiva del titolo |
Sabato 29 Novembre 2008 15:52 | |
In caso di opposizione all'esecuzione, la sospensione, su istanza di parte, dell'efficacia esecutiva del titolo presuppone la sussistenza di “gravi motivi” (art. 615, co. 1, cpc), da valutarsi con riferimento alla serietà dell’opposizione ed alla probabilità che questa sia accolta, non essendo di per sé sufficiente prospettare il pericolo che l’esecuzione stessa possa arrecare al debitore un danno irreversibile senza garanzia di adeguato risarcimento nel caso in cui l’opposizione sia riconosciuta fondata.
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Dispositivo dell'art. 183 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale (Artt. 163-310) → Capo II - Dell'istruzione della causa
All'udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione il giudiceistruttore verifica d'ufficio la regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i provvedimenti previsti dall'articolo 102, secondo comma, dall'art. 164, secondo, terzo e quinto comma, dall'art. 167, secondo e terzo comma, dall'articolo 182 e dall'articolo 291, primo comma.(1) Quando pronunzia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione. Il giudice istruttore fissa altresi' una nuova udienza se deve procedere a norma dell'art. 185. Nell'udienza di trattazione ovvero in quella eventualmente fissata ai sensi del terzo comma, il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.(2) Nella stessa udienza l'attorepuò proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto (3). Le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate (4) (5). Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini perentori(6): 1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni gia' proposte; 2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali; 3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria. Salva l'applicazione dell'articolo 187, il giudice provvede sulle richieste istruttorie fissando l'udienza di cui all'articolo 184 per l'assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti. Se provvede mediante ordinanza emanata fuori udienza, questa deve essere pronunciata entro trenta giorni. Nel caso in cui vengano disposti d'ufficio mezzi di prova con l'ordinanza di cui al settimo comma, ciascuna parte puo' dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi nonche' depositare memoria di replica nell'ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere ai sensi del settimo comma. Con l'ordinanza che ammette le prove il giudice puo' in ogni caso disporre, qualora lo ritenga utile, il libero interrogatorio delle parti; all'interrogatorio disposto dal giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui al terzo comma. L'ordinanza di cui al settimo comma e' comunicata a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi al deposito, anche a mezzo telefax, nella sola ipotesi in cui il numero sia stato indicato negli atti difensivi, nonche' a mezzo di posta elettronica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere gli atti.
Dispositivo dell'art. 182 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale (Artt. 163-310) → Capo II - Dell'istruzione della causa
Il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi (1). Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termineperentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza (2), o l'assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione (3) (4).
Dispositivo dell'art. 184 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale (Artt. 163-310) → Capo II - Dell'istruzione della causa
Nell'udienza fissata con l'ordinanza prevista dal settimo comma dell'articolo 183, il giudice istruttore procede all'assunzione deimezzi di prova ammessi.
Dispositivo dell'art. 185 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale (Artt. 163-310) → Capo II - Dell'istruzione della causa
Il giudice istruttore, in caso di richiesta congiunta delle parti, fissa la comparizione delle medesime al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione. Il giudice istruttore ha altresì facoltà di fissare la predetta udienza di comparizione personale a norma dell'articolo 117. Quando è disposta la comparizione personale, le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. Se la procura è conferita con scrittura privata, questa può essere autenticata anche dal difensore della parte. La mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata ai sensi del secondo comma dell'articolo 116. Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione (1). Quando le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della convenzione conclusa[disp. att. 88]. Il processo verbale costituisce titolo esecutivo.(2)
Note
(1) La rinnovazione del tentativo durante l'istruzione è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, che valuterà le eventuali nuove probabilità di successo dell'esperimento. Il tentativo non può essere compiuto oltre la rimessione della causa al collegio [v. 189]. È ammesso per la fase d'appello, come espressamente sancito dall'art. 350, comma 3 novellato, mentre è escluso, per la sua natura di giudizio sulla sola legittimità e non sul fatto, nel giudizio di Cassazione. In tale ultimo caso, l'eventuale bonario accordo raggiunto tra le parti autonomamente comporterà la conclusione del giudizio ma per cessazione della materia del contendere, essendosi ottenuta una soddisfazione, per entrambe le parti, stragiudiziale.
(2) L'avvenuta conciliazione delle parti produce come effetto la chiusura del processo. È prassi l'emanazione di una ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo ovvero di una formale dichiarazione di estinzione del giudizio in corso, pur ritenendosi che la conciliazione determini ipso iure la conclusione della lite. Dell'avvenuta conciliazione si redige processo verbale [v. 126], disciplinato, nelle sue formalità, dettagliatamente dall'art. 88 disp. att. Per la competenza conciliativa del giudice di pace [v. 322].
Dispositivo dell'art. 186 bis Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale (Artt. 163-310) → Capo II - Dell'istruzione della causa
Su istanza di parte il giudice istruttore può disporre, fino al momento della precisazione delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite (2). Se l'istanza è proposta fuori dall'udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per la notificazione. L'ordinanza costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia (3) in caso diestinzione del processo. L'ordinanza è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177, primo e secondo comma, e 178, primo comma (4).
Dispositivo dell'art. 187 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale (Artt. 163-310) → Capo II - Dell'istruzione della causa
Il giudice istruttore, se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio [disp. att. 80bis] (1). Può rimettere le parti al collegio affinché sia decisa separatamente unaquestione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire il giudizio [disp. att. 112bis]. Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che siano decise unitamente al merito (2). Qualora il collegio provveda a norma dell'articolo 279, secondo comma, numero 4), i termini di cui all'articolo 183, ottavo comma, non concessi prima della rimessione al collegio, sono assegnati dal giudice istruttore, su istanza di parte, nella prima udienza dinanzi a lui (3) (4). Il giudice dà ogni altra disposizione relativa al processo.
Note
(1) In tal caso, il giudice, ritenendo la causa matura per la decisione senza la necessità di assumere alcun mezzo di prova, si limiterà a svolgere la sola attività preparatoria [v. 180 e ss.]. Ad es. nelle ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto le istanze istruttorie presentate superflue [v. 209] o inammissibili o irrilevanti [v. 184] ovvero la lite possa essere decisa sulla base dei documenti prodotti ovvero ancora quando si debbano risolvere solo questioni di diritto, non essendo i fatti di causa controversi.
(2) La valutazione del giudice istruttore quanto alle questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito non vincola in alcun modo il collegio, che può disattenderla, riaprendo l'istruttoria [v. 279 2, n. 4].
(3) Comma così sostituito dall'art. 22, l. 26-11-1990, n. 353, in vigore dal 30-4-1995. Si riporta di seguito il testo del 4° comma anteriormente vigente: «Se ritiene che siano ammissibili e rilevanti, ammette i mezzi di prova proposti dalle parti, ordina gli altri mezzi che può disporre d'ufficio, tranne quelli riservati al collegio, e a meno che non ritenga opportuno rimettere le parti al collegio per la sola decisione della questione relativa alla ammissibilità o alla rilevanza dei predetti mezzi di prova. In tal caso il giudice assegna alle parti termini per la comunicazione di memorie. Per la decisione del collegio si osservano i commi sesto e settimo dell'art. 178».
(4) La norma precedente alla riforma del 1990 concedeva al giudice istruttore il potere di rimettere le parti al collegio anche per la sola decisione della questione relativa alla ammissibilità o alla rilevanza dei mezzi di prova proposti dalle parti o disponibili d'ufficio. Tale soppressione è stata causata dalla nuova formulazione delle deduzioni istruttorie [v. 184] e dalla modifica dell'art. 178, che ha eliminato il reclamo al collegio avverso le ordinanze istruttorie in materia di prove.
Dispositivo dell'art. 188 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale (Artt. 163-310) → Capo II - Dell'istruzione della causa
Il giudice istruttore provvede all'assunzione dei mezzi di prova e, esaurita l'istruzione, rimette le parti al collegio per la decisione a norma dell'articolo seguente [disp. att. 110] (1).
Dispositivo dell'art. 190 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo I - Del procedimento davanti al tribunale (Artt. 163-310) → Capo II - Dell'istruzione della causa
Le comparse conclusionali debbono essere depositate (2) entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla rimessione della causa al collegio e le memorie di replica entro i venti giorni successivi. Per il deposito delle comparse conclusionali il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, può fissare un termine più breve, comunque non inferiore a venti giorni.
Note
(2) Il deposito delle comparse e delle memorie ha luogo in cancelleria, in un originale in carta bollata da inserire nel fascicolo di parte insieme ad alcune copie destinate alla controparte, al fascicolo d'ufficio ed ai componenti del collegio. La comunicazione di comparse e memorie è rivolta alle parti costituite in giudizio nonché al Pubblico Ministero interveniente ex art. 70.
Dispositivo dell'art. 345 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo III - Delle impugnazioni (Artt. 323-408) → Capo II - Dell'appello
Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata (2), nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa (3) (4). Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio(5) (6). Non sono ammessi nuovi mezzi di prova (7) (8) e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.(9). Può sempre deferirsi il giuramento decisorio (10).
Note
(2) Il divieto di proporre domande nuove ha carattere assoluto, avendo la funzione di garantire la piena attuazione del principio del doppio grado di giurisdizione. Ove tali domande siano proposte, il giudice d'appello non potrà conoscerne, ma dovrà limitarsi ad emettere una pronuncia declinatoria di rito, dichiarandole, d'ufficio, inammissibili, senza entrare nel merito, anche se la controparte abbia accettato il contraddittorio su di esse o non ne abbia contestato il fondamento. La declaratoria di inammissibilità, in quanto pronuncia di rito, non preclude comunque la riproponibilità della domanda in un autonomo e separato giudizio di primo grado. Il divieto de quo opera anche per la parte rimasta contumace in primo grado, salva la sua rimessione in termini [v. 294] ove ne ricorrano i presupposti. Non rientrano nel divieto di domande nuove in appello la richiesta di restituzione di quanto sia stato eventualmente corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado né le domande proposte dai terzi intervenuti ex art. 344. Esulano, infine, dall'ambito di applicazione della norma le ipotesi in cui la stessa legge consenta di derogare al divieto. Si pensi, ad esempio, all'art. 1453, comma 2 c.c. che consente di mutare in risoluzione l'originaria domanda di adempimento. A tale ultimo riguardo, però, la giurisprudenza ha precisato che il mutamento è consentito a condizione che non comporti una modificazione della causa petendi attraverso la deduzione di nuovi fatti costitutivi.
(3) Tali domande, infatti, si considerano solo parzialmente nuove in quanto collegate con i fatti dedotti in primo grado e con le domande ivi proposte, delle quali costituiscono lo svolgimento logico e cronologico. La giurisprudenza, nell'aderire a tale interpretazione, ha precisato che la domanda per gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza, avendo ad oggetto un credito di valuta, soggiacente in quanto tale al principio nominalistico, è ammissibile soltanto se in primo grado sia stata proposta analoga domanda per i frutti, naturali e civili, maturati fino alla pronuncia della sentenza impugnata.
(4) In ordine al risarcimento dei danni, la giurisprudenza distingue il debito di valuta (es.: quello avente ad oggetto il risarcimento del maggior danno da svalutazione ex art. 1224, comma 2 c.c.) dal debito di valore (es.: quello avente ad oggetto il risarcimento del danno da illecito extracontrattuale). Il primo soggiace al principio nominalistico, per cui la domanda volta ad ottenerne il pagamento è ammissibile in appello a condizione che analoga domanda sia stata proposta nel giudizio di primo grado per il danno maturato fino alla pronuncia della sentenza. Per il pagamento del debito di valore, invece, la rivalutazione, avendo una funzione di giusta integrazione patrimoniale, può essere liquidata dal giudice di appello anche d'ufficio. Questi, infatti, dovendo condannare l'autore dell'illecito ad una somma corrispondente all'attuale valore del bene leso, dovrà liquidare il danno tenendo conto delle variazioni che il prezzo del bene ha subìto nel frattempo.
(5) Non è ammissibile, invece, la domanda di risarcimento dei danni prodotti da fatti posteriori alla sentenza che non siano direttamente ricollegabili ai fatti lesivi dedotti nel giudizio di primo grado. La pretesa risarcitoria avente ad oggetto tali danni dovrà essere fatta valere in un autonomo e separato giudizio.
(6) Il divieto opera, cioè, per le sole eccezioni in senso stretto, ossia per i fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto affermato dall'attore, la cui deduzione sia rimessa all'iniziativa del convenuto (es.: eccezione di compensazione, ex art. 1242 c.c.; di annullamento, ex art. 1442 c.c.; di rescissione ex art. 1449 c.c.). Non opera, invece, per le c.d. eccezioni improprie o mere difese, che consistono nella semplice negazione dei fatti costitutivi dedotti dall'attore a fondamento della propria pretesa. Né si applica, analogamente a quanto visto per il divieto di nuove domande, al terzo interveniente nel giudizio di appello ex art. 344.
(7) La giurisprudenza ammette, pacificamente, la proposizione delle eccezioni riconvenzionali, le quali, pur ampliando il tema della controversia, non mirano, come la domanda riconvenzionale, alla pronuncia di un provvedimento favorevole che attribuisca un bene determinato in contrapposizione al provvedimento richiesto dalla controparte con la domanda principale. Esse, infatti, tendono unicamente alla pronuncia di unprovvedimento di rigetto della domanda attraverso la deduzione di un diritto idoneo a paralizzare quello fatto valere dall'attore.
(8) Si considera nuova anche la prova diretta alla dimostrazione di un fatto che già in primo grado è stato oggetto di accertamento, ma mediante un mezzo istruttorio diverso da quello richiesto nel giudizio di appello. Ad esempio, la prova testimoniale è ritenuta nuova quando abbia ad oggetto circostanze che in prima istanza abbiano formato oggetto di prova documentale o per la cui dimostrazione siano stati dedotti soltanto elementi presuntivi.
(9) Prima della riforma, nel silenzio della norma si riteneva generalmente ammissibile la produzione di nuovi documenti. Ora la norma chiarisce che non possono essere prodotti nuovi documenti, tranne nelle ipotesi descritte.
(10) La dottrina ritiene altresì ammissibili il giuramento suppletorio (deferito dal giudice quando, in sede di decisione, egli ritenga che le prove raccolte non siano sufficienti a formare il suo convincimento) e quello estimatorio (deferito dal giudice quando sia impossibile determinare con altri mezzi il valore di una cosa).
Giuramento decisorio
si ha (--) quando una parte sfida l'altra a giurare sulla verità di fatti a questa favorevoli, facendo dipendere la decisione totale o parziale della causa dal giuramento medesimo.
Errore di fatto
Errore di fatto: gli errori di fatto attengono alla divergenza tra la ricostruzione della vicenda operata nella sentenza e lo svolgimento della stessa come processualmente accertata: il gravame, in tal caso, si risolve in un nuovo esame delle risultanze processuali attinenti al fatto, mediante l'eventuale acquisizione di nuovi mezzi di prova (rinnovazione dell'istruzione dibattimentale). Va precisato che la violazione delle regole della logica, nella interpretazione e ricostruzione degli elementi di fatto integra, invece, un vizio di motivazione della sentenza, e quindi un vizio di legittimità, che può costituire oggetto anche di un ricorso per Cassazione.
Errore di fatto: gli errori di fatto attengono alla divergenza tra la ricostruzione della vicenda operata nella sentenza e lo svolgimento della stessa come processualmente accertata: il gravame, in tal caso, si risolve in un nuovo esame delle risultanze processuali attinenti al fatto, mediante l'eventuale acquisizione di nuovi mezzi di prova (rinnovazione dell'istruzione dibattimentale). Va precisato che la violazione delle regole della logica, nella interpretazione e ricostruzione degli elementi di fatto integra, invece, un vizio di motivazione della sentenza, e quindi un vizio di legittimità, che può costituire oggetto anche di un ricorso per Cassazione.
Dispositivo dell'art. 395 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo III - Delle impugnazioni (Artt. 323-408) → Capo IV - Della revocazione
Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in un unico grado (1), possono essere impugnate per revocazione: 1) se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra (2); 2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario; 4) se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (3); 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata [324], purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; 6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
Note
(1) Il riferimento alle sentenze emesse in unico grado va qui inteso in senso ampio comprendendo non solo le sentenze inappellabili ex lege, ma anche quelle per le quali sia decorso inutilmente il termine per promuovere l'appello, sempre che si tratti di revocazione straordinaria [v. 396]. Inoltre, ai sensi dell'art. 391bis, la revocazione per errore di fatto può avere ad oggetto anche le sentenze della Corte di Cassazione.
(2) La Corte cost., con sent. 20-2-1995, n. 51 ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 395, prima parte e numero 1, c.p.c. «nella parte in cui non prevede la revocazione avverso i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità che siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra».
(3) La Corte cost., con sent. 30-1-1986, n. 17, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 395 prima parte e n. 4, «nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze della Corte di cassazione rese su ricorsi basati sul n. 4 dell'art. 360 e affette dall'errore di cui al n. 4 dell'art. 395». La Corte cost., con sent. 20-12-1989, n. 558, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 395, prima parte e n. 4 «nella parte in cui non prevede la revocazione per errore di fatto avverso i provvedimenti di convalida di sfratto o licenza per finita locazione emessi in assenza o per mancata opposizione dell'intimato»; la Corte ha inoltre dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 395 prima parte e del n. 4, ai sensi dell'art. 27 l. 11-3-1953, n. 87, «là dove non prevede la revocazione per errore di fatto per i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità emessi sui medesimi presupposti». La Corte cost., con sent. 31-1-1991 n. 36, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 395, n. 4, «nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze della Corte di cassazione per errore di fatto nella lettura di atti interni al suo stesso giudizio».
Dispositivo dell'art. 420 Codice di Procedura Civile
Fonti → Codice di Procedura Civile → LIBRO SECONDO - Del processo di cognizione → Titolo IV - Norme per le controversie in materia di lavoro (Artt. 409-473) → Capo I - Delle controversie individuali di lavoro
Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti (1) e tenta la conciliazione della lite. La mancata comparizione personale delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione (2). Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice (3). Le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale (4), il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. La mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata dal giudice ai fini della decisione. Il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo (5). Se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgonoquestioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo (6). Nella stessa udienza ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima (7), se ritiene che siano rilevanti, disponendo, con ordinanza resa nell'udienza, per la loro immediata assunzione. Qualora ciò non sia possibile (8), fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima concedendo alle parti ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell'udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive. Nel caso in cui vengano ammessi nuovi mezzi di prova, a norma del quinto comma, la controparte può dedurre i mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi, con assegnazione di un termine perentorio di cinque giorni (9). Nell'udienza fissata a norma del precedente comma il giudice ammette, se rilevanti, i nuovi mezzi di prova dedotti dalla controparte e provvede alla loro assunzione. L'assunzione delle prove deve essere esaurita nella stessa udienza o, in caso di necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi (10). Nel caso di chiamata in causa a norma degli articoli 102, secondo comma, 106 e107, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che, entro cinque giorni, siano notificati al terzo il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l'atto di costituzione del convenuto, osservati i termini di cui ai commi terzo, quinto e sesto dell'articolo 415. Il termine massimo entro il quale deve tenersi la nuova udienza decorre dalla pronuncia del provvedimento di fissazione (11). Il terzo chiamato deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell'udienza fissata, depositando la propria memoria a norma dell'articolo 416. A tutte le notificazioni e comunicazioni occorrenti provvede l'ufficio (12). Le udienze di mero rinvio sono vietate(13).
Note
(1) L'interrogatorio in esame si differenzia da quello formale [v. 228] (di cui ne resta comunque salva l'ammissibilità), in quanto non è diretto a provocare la confessione giudiziale, ma ad acquisire ulteriori elementi di valutazione, definendo meglio il tema decisionale. Nonostante l'obbligatorietà, la sua omissione non determina nullità della sentenza.
(2) La mancata comparizione di cui alla norma in esame, si riferisce alle parti intese in senso «personale», onerate a rispondere all'interrogatorio libero [v. 117] e non va, pertanto, confusa con la mancata comparizione di cui agli artt. 181 e 309, che si riferisce alle parti in senso «tecnico», rappresentate cioè dal procuratore «ad litem». L'applicabilità al rito del lavoro degli artt. 181 e 309 è peraltro controversa.
(3) Si tratta della emendatio libelli; non è invece ammessa la mutatio libelli, ossia il mutamento dell'oggetto della domanda, sia perché l'udienza è (tendenzialmente) unica, sia perché si comprometterebbe la speditezza del processo.
(4) È dubbio se possa essere nominato procuratore lo stesso difensore tecnico.
(5) Il presente verbale di conciliazione, a differenza di quello di cui all'art. 411, è titolo esecutivo di per sé, e non necessita del decreto del giudice.
(6) Si discute se, come avviene nel rito ordinario ai sensi dell'art. 189, il giudice sia investito di tutta la causa, anche quando la rimessione abbia ad oggetto soltanto questioni preliminari e pregiudiziali.
(7) Il giudice può disporre l'assunzione non soltanto dei mezzi di prova proposti dalle parti, ma anche di quelli che ritenga opportuno assumereex officio [v. 421].
(8) Si pensi, ad esempio, ad un testimone assente.
(9) Tale termine può essere concesso solo per i mezzi di prova nuovi, ma non per quelli richiesti nell'atto introduttivo del giudizio, in ordine ai quali il convenuto può controdedurre con la memoria ex art. 416.
(10) In realtà è difficile che la nuova udienza venga fissata nei giorni feriali immediatamente successivi; spesso il rinvio avviene a distanza di settimane o mesi.
(11) Alla chiamata in causa del terzo il convenuto deve provvedere nella memoria difensiva; l'attore, invece, può effettuare tale chiamata in udienza, ove tale esigenza si renda necessaria a seguito delle difese svolte dal convenuto. L'ordine di chiamata, infine, può essere emesso d'ufficio dal giudice in qualunque momento. Quest'ultima tesi non è tuttavia pacifica in dottrina, salvo naturalmente che per il litisconsorzio necessario.
(12) L'ufficio provvede alle notificazioni e alle comunicazioni soltanto in relazione alla chiamata del terzo prevista nei commi precedenti. Così, ad esempio, la citazione dei testimoni rimane un atto riservato all'impulso della parte interessata, secondo quanto previsto dall'art. 250.
(13) La giurisprudenza ha interpretato tale disposizione (fondamentale per l'accelerazione dell'iter processuale) in modo non rigoroso, per cui anche la pendenza di trattative stragiudiziali di bonario componimento costituisce motivo che giustifica il rinvio non mero dell'udienza di discussione.
Note
(1) Parte della dottrina ritiene tale norma priva di effettiva importanza, poiché essa viene assorbita dalle disposizioni contenute negli articoli 202 e seguenti.
APPENDICE
LIBRO I°
DISPOSIZIONI GENERALI
DISPOSIZIONI GENERALI
TITOLO IV
Dell'esercizio dell'azione
Dell'esercizio dell'azione
Art. 99 Principio della domanda (codice procedura civile)
Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente.
Art. 100 Interesse ad agire (codice procedura civile)
Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse.
Art. 101 Principio del contraddittorio (codice procedura civile)
Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.
Art. 102 Litisconsorzio necessario (codice procedura civile)
Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo.
Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito.
Art. 103 Litisconsorzio facoltativo (codice procedura civile)
Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l'oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni.
Il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza.
Art. 104 Pluralità di domande contro la stessa parte (codice procedura civile)
Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell'art. 10, secondo comma.
È applicabile la disposizione del secondo comma dell'articolo precedente.
Art. 105 Intervento volontario (codice procedura civile)
Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo.
Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse.
Art. 106 Intervento su istanza di parte (codice procedura civile)
Ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita.
Art. 107 Intervento per ordine del giudice (codice procedura civile)
Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l'intervento.
Art. 108 Estromissione del garantito (codice procedura civile)
Se il garante compare e accetta di assumere la causa in luogo del garantito, questi può chiedere, qualora le altre parti non si oppongano, la propria estromissione. Questa è disposta dal giudice con ordinanza; ma la sentenza di merito pronunciata nel giudizio spiega i suoi effetti anche contro l'estromesso.
Art. 109 Estromissione dell'obbligato (codice procedura civile)
Se si contende a quale di più parti spetta una prestazione e l'obbligato si dichiara pronto a eseguirla a favore di chi ne ha diritto, il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta e, dopo il deposito, può estromettere l'obbligato dal processo.
Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente.
Art. 100 Interesse ad agire (codice procedura civile)
Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse.
Art. 101 Principio del contraddittorio (codice procedura civile)
Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.
Art. 102 Litisconsorzio necessario (codice procedura civile)
Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo.
Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito.
Art. 103 Litisconsorzio facoltativo (codice procedura civile)
Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l'oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni.
Il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza.
Art. 104 Pluralità di domande contro la stessa parte (codice procedura civile)
Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell'art. 10, secondo comma.
È applicabile la disposizione del secondo comma dell'articolo precedente.
Art. 105 Intervento volontario (codice procedura civile)
Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo.
Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse.
Art. 106 Intervento su istanza di parte (codice procedura civile)
Ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita.
Art. 107 Intervento per ordine del giudice (codice procedura civile)
Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l'intervento.
Art. 108 Estromissione del garantito (codice procedura civile)
Se il garante compare e accetta di assumere la causa in luogo del garantito, questi può chiedere, qualora le altre parti non si oppongano, la propria estromissione. Questa è disposta dal giudice con ordinanza; ma la sentenza di merito pronunciata nel giudizio spiega i suoi effetti anche contro l'estromesso.
Art. 109 Estromissione dell'obbligato (codice procedura civile)
Se si contende a quale di più parti spetta una prestazione e l'obbligato si dichiara pronto a eseguirla a favore di chi ne ha diritto, il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta e, dopo il deposito, può estromettere l'obbligato dal processo.
Art. 110 Successione nel processo (codice procedura civile)
Quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto.
Art. 111 Successione a titolo particolare nel diritto controverso (codice procedura civile)
Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie.
Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto.
In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore universale può esserne estromesso.
La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui, salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione.
L' art. 183 del c.p.c. reca l'inciso “se richiesto, il giudice concede alle parti". Tale espressione va interpretata, secondo l'opinione assolutamente prevalente, nel senso che la concessione dei tre termini previsti dalla norma non è subordinata ad alcuna autorizzazione o valutazione da parte del giudice. Altresì, dottrina autorevole ritiene che la richiesta unilaterale di una sola delle parti del giudizio giovi anche all'altra.
Ci si può chiedere, tuttavia, se il giudice istruttore sia obbligato a concedere i suddetti termini anche nel caso in cui ritenga la causa matura per la decisione.
Interpretando letteralmente l'art. 183, comma sesto c.p.c., il giudice non sembra avere margini di discrezionalità. Avendo riguardo, però, all'art. 80 disp. att. c.p.c. (“La rimessione al collegio, a norma dell’ art. 187 del c.p.c. , può essere disposta dal giudice istruttore anche nell’udienza destinata esclusivamente alla prima comparizione delle parti”) sembrerebbe che il giudice istruttore possa fissare direttamente l’udienza di precisazione delle conclusioni, nonostante la richiesta delle parti di concessione dei termini per le memorie. Secondo altra tesi, il giudice potrebbe fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni e non concedere i termini solo quando l’emendatio della domanda o delle eccezioni sarebbe stata irrilevante ai fini della decisione della lite.
Quale che sia la posizione preferibile, si ritiene che laddove il giudice abbia deciso senza concedere i termini, la parte, impugnando la sentenza, debba sia eccepire la loro mancata concessione che specificare il pregiudizio causato dall’omissione nonché i fatti e le deduzioni che sarebbero state formulate (si veda in tal senso Cass. civ. n. 9169/2008, che decide su un giudizio svoltosi prima della riforma del 2006: “Qualora venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa nel merito prima ancora che le parti avessero definito il "thema decidendum” e il “thema probandum”, l’appellante che faccia valere tale nullità – una volta escluso che la medesima comporti la rimessione della causa al primo giudice – non può limitarsi a dedurre tale violazione, ma deve specificare quale sarebbe stato il thema decidendum sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare ove fosse stata consentita la richiesta appendice di cui all’art. 183, comma 5, c.p.c., e quali prove sarebbero state dedotte, poiché in questo caso il giudice d’appello è tenuto soltanto a rimettere le parti in termini per l’esercizio delle attività istruttorie non potute svolgere in primo grado”).Interpretando letteralmente l'art. 183, comma sesto c.p.c., il giudice non sembra avere margini di discrezionalità. Avendo riguardo, però, all'art. 80 disp. att. c.p.c. (“La rimessione al collegio, a norma dell’ art. 187 del c.p.c. , può essere disposta dal giudice istruttore anche nell’udienza destinata esclusivamente alla prima comparizione delle parti”) sembrerebbe che il giudice istruttore possa fissare direttamente l’udienza di precisazione delle conclusioni, nonostante la richiesta delle parti di concessione dei termini per le memorie. Secondo altra tesi, il giudice potrebbe fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni e non concedere i termini solo quando l’emendatio della domanda o delle eccezioni sarebbe stata irrilevante ai fini della decisione della lite.
Nella prassi, quando i procuratori delle parti chiedono concordemente la concessione dei termini di cui all'art. 183, comma sesto, c.p.c., il giudice automaticamente accoglie la richiesta.
Tribunale Civile di [completare]
Sezione Lavoro
Ricorso in opposizione a precetto ex artt. 615, co.1 e 618 - bis cpc
per il/la Sig. / Sig.ra /Società [se si tratta di datore di persona giuridica inserire nome della società es. S.p.A. Rossi in persona del legale rappresentante pro tempore] elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. [inserire nome e cognome del legale], che lo/la rappresenta e difende giusta procura a margine[ovvero in calce] del presente atto,
parte opponente
contro
il/la Sig./Sig.ra [inserire nome del creditore], elettivamente domiciliato/a in [inserire città e via dello studio legale] presso lo studio dell’avv. [completare] che lo rappresenta e difende,
parte opposta
FATTO
Il /la Sig./ Sig.ra / Società [inserire nome e cognome della parte opponente] a mezzo del suo procuratore costituito in giudizio, espone quanto segue:
- con atto di precetto notificato in data [completare con data in cui è avvenuta la notifica] il/la Sig./Sig.ra [completare con il nominativo della parte opposta] intimava al/alla Sig. / Sig.ra / Società [completare con il nominativo della parte opponente] di corrispondere l’importo di € [completare], a titolo di [completare], entro il termine di 10 giorni a decorrere dalla data di notifica dell’atto di precetto, con avvertenza che in difetto si sarebbe proceduto ad esecuzione forzata.
- Parte opponente pertanto intende proporre con il presente atto opposizione all’esecuzione, contestando l’ammissibilità e la fondatezza del diritto della parte opposta di avviare azione esecutiva, alla stregua dei motivi che di seguito si illustrano: [indicare i motivi su cui si basa l’opposizione].
* * *
Tanto ritenuto, il/la Sig. / Sig.ra /Società [inserire nome e cognome della parte opponente]
RICORRE
all'Ill.mo Giudice adito, affinchè, previa fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, voglia accogliere le seguenti
CONCLUSIONI
Piaccia all'Ill.mo Giudice adito, ogni contraria istanza disattesa ed eccezione reietta, accogliere il presente ricorso e per l’effetto dichiarare l’infondatezza del diritto del/della Sig./Sig.ra [completare con il nominativo della parte opposta] di procedere ad esecuzione forzata con il giudizio intrapreso con l’atto di precetto notificato in data [inserire data di notifica precetto] con conseguenziale declaratoria di nullità e di improduttività di effetti giuridici ed adottare altresì tutti i provvedimenti del caso.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre IVA e CPA
Si producono i seguenti documenti [indicare i documenti prodotti].
[completare con luogo e data]
[inserire firma dell’Avvocato]
NOTE
- FINALITA’: questo tipo di atto viene utilizzato dal debitore a cui è stato notificato l’atto di precetto per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata sui suoi beni. Con il deposito del ricorso in opposizione a precetto (presso la Sezione del Tribunale competente a decidere in materia di controversie di lavoro) il debitore da inizio ad un vero e proprio giudizio di cognizione, di conseguenza la sentenza che sarà resa dal giudice adito, potrà essere impugnata con i normali mezzi di impugnazione.
- FORMALITA’: il ricorso in opposizione va naturalmente redatto prima che l’esecuzione abbia inizio, vale a dire prima che siano trascorsi 10 giorni dalla notifica del precetto stesso.
- RIFERIMENTI NORMATIVI: Codice di procedura civile: dall’artt. 26, 615 e 618 – bis.
- RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI: Cass. Sez. Lav. n. 3316/02 ecc.
11 gennaio 2011"RICORSO PER DECRETO INGIUNTIVO E TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE" - RMCi si è chiesti, in differenti circostanze, se l'eventuale tentativo obbligatorio di conciliazione, da parte del legislatore, possa esser considerato condizione di procedibilità della domanda di ingiunzione (cfr., amplius, "Il procedimento di ingiunzione", Cedam, Padova 2010); l'occasione, per effettuare un aggiornato punto della situazione in materia, è fornita dalla seguente, motivata, pronuncia del Tribunale di Torino, ove si legge che
“....il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 1 comma 11 l. 31 luglio 1997 n. 249non è condizione di procedibilità della domanda di ingiunzione proposta da una società esercente un servizio di telecomunicazione nei confronti di un utente.....”.
Tribunale Torino, sez. III, 02 dicembre 2005 - Giur. merito 2006, 7-8 1667 (NOTA)nota VACCARI
La sentenza de qua origina dalla seguente fattispecie concreta, “...il 16.2.05 il tribunale di Torino, su conforme ricorso della s.p.a. Telecom Italia Mobile, emetteva decreto ingiuntivo nei confronti della s.r.l. Nolo Più intimandole il pagamento della somma residua di euro 30.344,57, oltre accessori, quale corrispettivo delle prestazioni di fornitura di servizi di telecomunicazione mobile eseguite in suo favore di cui alle prodotte fatture. Al decreto notificato il 1.4.05 proponeva opposizione la s.r.l. Nolo Più con atto di citazione notificato il 4.5.05 chiedendone la revoca. Eccepiva l'improponibilità del ricorso per mancato esperimento del tentativo di conciliazione previsto ex art.1, 11 c., L. 31.7.1997 n. 249. Eccepiva l'incompetenza territoriale del tribunale di Torino in forza di clausola contrattuale che prevedeva la competenza esclusiva del tribunale di Roma; in alternativa allagava la competenza territoriale del tribunale di Modena. Contestava, nel merito, il credito di controparte e proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto e risarcimento danni nella somma di euro 30.000,00. Si costituiva in giudizio la s.p.a. Telecom Italia , incorporante la s.p.a. Telecom Italia Mobile, aderendo all'eccezione di incompetenza territoriale, ma contestando le eccezioni di improponibilità del ricorso e di merito dell'opponente ed eccependo l'incompetenza territoriale del giudice adito, a favore del tribunale di Roma, sulla domanda riconvenzionale dell'attore. Interveniva in giudizio la s.p.a. TIM Italia, subentrata a Telecom Italia quale incorporante della s.p.a. Telecom Italia Mobile, richiamando le conclusioni di parte convenuta.Precisate le conclusioni in epigrafe, la causa veniva assegnata a sentenza, viste le questioni pregiudiziali di rito, all'udienza di prima comparizione delle parti del 16.9.05, previa concessione dei termini ex art. 281 quinquies c.p.c.......”;
Tribunale Torino, sez. III, 02 dicembre 2005 - Giur. merito 2006, 7-8 1667 (NOTA)nota VACCARI
e, con l'occasione fornita dalla legge n. 249 del 1997 (istitutiva dell'autorità per la garanzia delle comunicazioni),
“....l'esame sulla questione della procedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo (per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione) è preliminare rispetto a quella sul motivo dell'opposizione riguardante l'incompetenza territoriale del giudice che ha emesso il decreto (Cass.1958 n. 201). La questione di procedibilità dell'opposizione, quindi, dev'essere esaminata prima che intervenga la successiva statuizione relativa all'incompetenza territoriale (Cass. 1995 n. 3742). La L. 31.7.1997 n. 249 (istitutiva dell'Autorità per le garanzia nelle comunicazioni), all'art. 1, 11 c., statuisce che "l'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere tra utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze.. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine , i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione". La successiva delibera dell'Autorità di garanzia per le comunicazioni n. 182/ CONS del 2002 ha provveduto, come previsto dalla norma suddetta, a disciplinare il tentativo obbligatorio di conciliazione per tali controversie insorte tra utenti ed i soggetti autorizzati o destinatari di licenze, attribuendone la competenza al Co.re.com. (Comitato regionale per le comunicazioni) o, in alternativa, agli organismi non giurisdizionali che rispettino i principi sanciti dalla raccomandazione della Commissione 2001/310/CE. Più in particolare, l'allegato A, art. 3, della suddetta Delibera n. 182/02/Cons del 19.6.2002, recita come "gli utenti ... ovvero gli organismi di telecomunicazioni, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo di diritto privato...e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio". L.'art. 4, 2 c., dell'allegato A, poi, ribadisce che "il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione ...". Ora, ad avviso di questo giudicante, i termini "controversie", "ricorso in sede giurisdizionale" e "agire in giudizio" , di cui alla complessiva normativa che precede, si riferiscono (solo) all'azione giurisdizionale ordinaria (quindi, preclusa senza il previsto preventivo tentativo di conciliazione) incardinata con un procedimento contenzioso ordinario (anche, di conseguenza, tramite atto di citazione ex art. 163 c.p.c.) soggetto al principio del contraddittorio immediato ex art. 101 c.p.c., ma non al procedimento senza contraddittorio introdotto con le forme speciali di cui all'art. 633 c.p.c......”;
Tribunale Torino, sez. III, 02 dicembre 2005 - Giur. merito 2006, 7-8 1667 (NOTA)nota VACCARI
prende posizione sulla questione generale, ricordando, in particolare, l'identica problematica, sollevata e risolta, avente per oggetto il contenzioso in materia di lavoro, tanto per quanto concerne la prima fase, priva di contraddittorio,
“....il procedimento ingiuntivo , infatti, ha lo scopo di giungere alla celere formazione di un titolo esecutivo mediante cognizione sommaria e senza contraddittorio (differito all'eventuale fase di merito) e precluderlo senza un preventivo tentativo di conciliazione contrasterebbe proprio con la "ratio" della L. n. 249/97 che è quella di deflazionare il contenzioso ordinario pendente dinanzi ai tribunali. Tale interpretazione è avvalorata dal disposto dell'art. 412 bis c.p.c. che, in sede di rapporti di lavoro, prevede come "l'espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda"; domanda che, tra l'altro, si propone, ex art. 414 c.p.c. con "ricorso" , identico termine cui fa riferimento, come suvvisto, la L. n. 249/97. Ora, la Corte Costituzione ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 412 bis c.p.c. nella parte in cui non inserisce il procedimento monitorio nell'elenco dei procedimenti sottratti al tentativo obbligatorio di conciliazione in quanto tale tentativo obbligatorio è strutturalmente legato ad un processo fondato, fin dall'inizio, sul contraddittorio, sicché appare incongruo interpretare la disposizione impugnata nel senso che essa preveda l'assoggettamento al suddetto tentativo di un procedimento il cui contraddittorio è differito, come il procedimento monitorio (Corte Cost. 2000 n. 276). Ad identica conclusione è giunta successiva pronuncia sul punto (Corte Cost. ord. n. 29 del 2001).....”;
Tribunale Torino, sez. III, 02 dicembre 2005 - Giur. merito 2006, 7-8 1667 (NOTA)nota VACCARI.
quanto per i risvolti coinvolgenti la seconda fase (di opposizione):
"....sebbene la Corte Costituzionale si sia pronunciata solo circa l'esperimento del tentativo di conciliazione nella fase monitoria, non prendendo posizione espressamente sulla sorte della eventuale fase successiva di opposizione, la giurisprudenza di merito non ha mancato di sottolineare, già in precedenza, che nelle controversie individuali di lavoro, non solo il procedimento monitorio non è precluso dal mancato esperimento del tentativo di conciliazione , ma il tentativo obbligatorio di conciliazione non costituisce presupposto di procedibilità neppure del successivo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (Pret. Parma, 5.8.1999, in Giur. Merito, 2001, I, 72). Tale conclusione si deve condividere ed estendere alla fattispecie oggetto del presente giudizio giacché l'opponente, dati i termini perentori per proporre l'opposizione a decreto ingiuntivo, ex art. 641 e 645 c.p.c. (pena l'acquisizione, ex art. 647 c.p.c., da parte del decreto ingiuntivo, di autorità di cosa giudicata sostanziale), si troverebbe nell'impossibilità di adempiere a quella condizione di procedibilità che sarebbe rappresentata dall'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Ciò vale, ad avviso del giudicante, anche per la sua domanda riconvenzionale, ritualmente proposta, ex art. 36 c.p.c., all'interno di un procedimento che, come detto, è esente dall'obbligo del preventivo tentativo di conciliazione e rispetto alla quale la "ratio" di ridurre (attraverso il tentativo di conciliazione) il contenzioso giudiziale favorendo soluzioni stragiudiziali delle controversie non ha motivo di trovare applicazione , visto che la res litigiosa è già stata già radicata in causa.L'opposizione, quindi, è procedibile.....”.
Tribunale Torino, sez. III, 02 dicembre 2005 - Giur. merito 2006, 7-8 1667 (NOTA)nota VACCARI
RICONOSCIMENTO STATO DI LAVORATORE SUBORDINATO
Tribunale di [completare]
Sezione Lavoro
Ricorso ex art. 414 c.p.c.
Per il/la Sig./Sig.ra [inserire nome del ricorrente], nato a [inserire luogo e data di nascita], C.F. [inserire codice fiscale], elettivamente domiciliato/a in [inserire città e via dello studio legale], presso lo studio dell'avv. [inserire nome e cognome del legale], che lo/la rappresenta e difende giusta procura a margine[ovvero in calce] del presente atto,
ricorrente
contro
il/la Sig. / Sig.ra [inserire nome e cognome del datore di lavoro; ovvero se si tratta di datore di lavoro persona giuridica inserire nome della società es. S.p.A. Rossi in persona del legale rappresentante pro tempore] domiciliato/a [inserire indirizzo del datore di lavoro persona fisica], [ovvero nel caso di datore di lavoro persona giuridica: con sede in … via … ]
convenuto/a
FATTO
Il/la Sig./Sig.ra [inserire nome e cognome della parte ricorrente] a mezzo del suo procuratore costituito in giudizio, espone quanto segue:
- il/la ricorrente ha lavorato alle dipendenze della Società resistente [ovvero per il/la Sig./Sig.ra in caso di datore di lavoro persona fisica] dal [inserire data inizio rapporto di lavoro] al [inserire l’eventuale data di cessazione del rapporto di lavoro] in qualità di [inserire qualifica];
- durante tale periodo la società convenuta ha affidato al/alla ricorrente le seguenti mansioni [inserire le attività lavorative svolte],
- pertanto, in considerazione dell'anzianità di servizio maturata e dell’attività svolta, doveva essere inquadrato/a nella [inserire la categoria] categoria, così come stabilito dal CCNL di settore [completare] che la resistente applica ai suoi dipendenti;
- le prestazioni effettuate dal/dalla ricorrente sono state esclusivamente di carattere personale e si sono svolte con le seguenti modalità: [inserire modalità di svolgimento della prestazione, riposi, ecc.]
- il/la ricorrente era altresì tenuto/a all’osservanza del seguente orario di lavoro: [inserire orario di lavoro];
- nell’espletamento di tali compiti il/la ricorrente era assoggettata alle puntuali e specifiche direttive impartitele dal/dalla Sig./Sig.ra [completare con nome e qualifica] e dai suoi ausiliari, che le imponevano le modalità di esecuzione della sua prestazione e che controllavano altresì il lavoro svolto ed ai quali la ricorrente rendeva altresì conto del proprio operato e dai quali riceveva apprezzamenti o rimproveri;
- per lo svolgimento di tali attività al/alla ricorrente veniva corrisposta una retribuzione mensile (eventuale: oraria, settimanale) di € .....;
- tuttavia i compensi percepiti non erano proporzionati alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto, per cui il/la ricorrente sul punto fa riserva di agire con separato giudizio, per la quantificazione e rivendicazione delle somme spettanti;
- inoltre non risulta altresì regolare la sua posizione assistenziale e previdenziale;
- il/la ricorrente ha svolto la sua attività lavorativa non già con una organizzazione propria, bensì inserita nei locali e utilizzando gli strumenti messi a disposizione da parte del/la convenuto/a;
- in caso di eventuali assenze per malattia il/la ricorrente doveva inviare la relativa certificazione medica e avvisare tempestivamente l’azienda [o il datore di lavoro persona fisica] della impossibilità di recarsi al lavoro; era altresì tenuto/a a giustificare eventuali assenze o ritardi;
- in data [inserire data] a mezzo raccomandata a/r veniva esperito inutilmente il tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro di [inserire città] (all. n. 1).
* * *
Alla luce delle allegazioni in fatto che precedono, il /la Sig. /Sig.ra [inserire nome di parte ricorrente] a mezzo del suo procuratore costituito in giudizio, espone quanto segue in
DIRITTO
Il rapporto di lavoro intercorso tra le parti per le modalità concrete di svolgimento possiede tutte le caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato ai sensi dell'art. 2094 c.c. sussistendo inequivocabilmente tutti gli elementi fondamentali rivelatori della subordinazione.
Tali elementi, secondo l’orientamento saldamente accreditato presso il Supremo Collegio, consistono:
- nella sottoposizione del lavoratore al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro,
- nell'osservanza di un orario di lavoro costante,
- nella corresponsione della retribuzione a scadenze prestabilite,
- nell'obbligo di giustificare assenze o ritardi,
- nell'assenza di una struttura imprenditoriale in capo al lavoratore.
Pertanto con riferimento a tali criteri, appare indubitabile che il rapporto tra il /la ricorrente e la resistente debba essere qualificato di lavoro subordinato.
Giova infine evidenziare che la giurisprudenza dominante ha più volte ribadito che ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, le modalità effettive di svolgimento del rapporto sono preminenti rispetto al nomen iurisdato dalle parti al rapporto di lavoro. Infatti tale presunzione nel caso di specie viene agevolmente superata dal comportamento complessivo delle parti rivelatore in realtà di un intendimento soggettivo diverso da quello dichiarato, con conseguenziale deviazione dal modello negoziale formalizzato (v. Cass. n. 5960/99; n. 12926/99; n. 3603/98; nonché da ultimo Cass. Sez. Lav. n. 4770/03, secondo cui “in caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro e con una continuità regolare, anche negli orari, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato oppure autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto – con accertamento di fatto incensurabile in cassazione se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il ‘nomen iuris’ utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente” (dovendosi dunque avere riguardo soprattutto alle modalità concrete di svolgimento del rapporto).
Appare evidente dunque, dalle considerazione in fatto e in diritto sopra svolte e che saranno agevolmente provate in sede di istruttoria, che, al di là del nomen iuris con cui tra le parti il contratto di lavoro è stato definito, lo stesso è stato di fatto attuato nei termini di un rapporto di lavoro subordinato.
Tanto ritenuto il /la Sig. / Sig.ra [inserire nome della parte], come in epigrafe rappresentato/a e difeso/a
CHIEDE
all'Ill.mo Giudice adito, previa fissazione dell'udienza di discussione ed emanazione dei provvedimenti di cui all'art. 415 cod. proc. civ., di voler accogliere le seguenti
CONCLUSIONI
- accogliere il presente ricorso e, per l’effetto, dichiarare che, contrariamente a quanto fatto figurare dalle parti, il rapporto in essere tra il/la ricorrente e [inserire nome del convenuto] è da qualificare fin dal [inserire data inizio rapporto di lavoro] quale rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
Con vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre IVA e CPA, [inserire eventualmente: da distrarsi in favore dell'avv. (inserire nome del legale) antistatario) e sentenza provvisoriamente esecutiva.
In via istruttoria chiede altresì:
- l’ammissione dell’interrogatorio formale del legale rappresentante pro tempore[se il datore di lavoro è persona fisica inserire della controparte];
- prova testimoniale sulle circostanze di fatto articolate nella narrativa del presente atto contrassegnate con i numeri da a) a k), che si abbiano qui per riportati come altrettanti capitoli di prova per testi, preceduti dalla formula “vero che” ed epurati da eventuali elementi valutativi dettati da esigenze espositive;
- prova testimoniale contraria a quella eventualmente formulata da controparte, nei limiti in cui essa verrà ammessa.
Si indicano a testimoni i sigg.ri [inserire nomi dei testimoni]
Si formulano le seguenti ulteriori istanze istruttorie [es.: informazioni sindacali, esibizione libri contabili ecc.]
Si producono i seguenti documenti:
- raccomandata a/r del [inserire data] di tentativo obbligatorio di conciliazione;
- [inserire elenco documenti prodotti] .
[inserire luogo e data]
[inserire nome avvocato e sottoscrivere]
NOTE
- FINALITA’: Un ricorso di questo tenore viene utilizzato per incardinare un giudizio innanzi alle competenti sedi (Tribunale Civile – Sezione Lavoro) al fine di ottenere una sentenza dichiarativa dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
- FORMALITA’: Il ricorso va depositato soltanto dopo aver effettuato il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alla competente Commissione della Direzione Provinciale del Lavoro.
- TEMPISTICA:Una volta depositato presso la Cancelleria del Tribunale territorialmente competente ex art. 413 c.p.c., il ricorso, completo del decreto del giudice di fissazione dell’udienza, va notificato alla parte convenuta a cura del ricorrente. Importante: tra la data della notifica al convenuto e la data dell’udienza fissata nel decreto deve intercorre un termine di almeno 30 giorni.
- RIFERIMENTI NORMATIVI: Codice di procedura civile: artt. 413, 414, 415; codice civile: art. 2094
- RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI: Cass. Sez. Lav. n. 5960/99; n. 12926/99; n. 3603/98; n. 9817/98; n. 11936/00, n. 4770/03.; ecc.
< Prec. |
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Avv. Lia Grignani, venerdì 7 gennaio 2011 , chiede:
La concessione dei termini è obbligatoria per l'Istruttore, sull'unico e semplice presupposto della richiesta di una delle parti, ancorché la causa sia manifestamente documentale ed esaustivamente istruita fin dall'atto introduttivo? Grazie.